Un documento poco conosciuto

La dichiarazione di Marrakesh sui diritti delle minoranze religiose 
in paesi a maggioranza musulmana

Fra Luca Minuto OFMCap
articolo pubblicato su InterreligioneNews Giugno-Luglio 2016

avanti alle stragi di cristiani e di altri popoli all’interno di paesi musulmani capita di sentire i commenti più assurdi, conditi spesso da una certa dose di pressapochismo. “Com’è che i musulmani non fanno niente?”. Si potrebbe rispondere che fa più rumore un albero che cade che non una foresta che cresce, citando il recente episodio occorso lo scorso dicembre in Kenya, quando un gruppo di musulmani ha fatto da scudo ai cristiani contro i jihadisti di AlShabab, o altri piccoli episodi, di cui usualmente si parla poco.    
Tuttavia è difficile, a meno di volerlo fare appositamente,  ignorare la portata del documento di Marrakesh apparso nel gennaio 2016 e ancora sconosciuto

Il cardinale McCarrick, arcivescovo emerito di Washington ha lanciato un appello a non ignorare questo documento redatto da 300 studiosi e autorità religiose del mondo musulmano, alla presenza dei rappresentanti di altre religioni.
 Il valore di questo documento non sta in una esortazione generica alla pace, ma nel fatto che ci si ispiri interamente alla tradizione islamica. In genere quando parliamo di diritti umani abbiamo in mente la Dichiarazione dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite, documento fondamentale, ma europeo. Proprio a questo proposito, nel 2008, il sinologo e filosofo François Jullien nel suo libro “L’universale e il comune” si domanda quale incidenza possa avere su un’altra cultura un documento ragionato da un europeo. 
Sicuramente varrà in Europa, ma da altre parti potrebbe essere considerato come un’imposizione dall’alto. 

La dichiarazione di Marrakesh incontra la Dichiarazione delle Nazioni Unite, ma parte da un altro presupposto, parte dall’Islam, dalla carta di Medina, ossia il documento che firmò il Profeta con gli abitanti di Medina allorquando la primitiva comunità musulmana si insediava a Yathrib (che, solo dopo la morte del Profeta sarebbe stata chiamata Medina). Questo documento prevedeva la convivenza, con pari diritti tra musulmani, ebrei e cristiani; l’obbligo di tutti di essere leali e di partecipare alle esigenze della comunità. A 1400 anni dalla sua pubblicazione 300 studiosi e autorità provenienti da 120 stati diversi si sono incontrati con l’idea di redigere un documento adeguato alle esigenze dei tempi che non sostituisce, ma aiuta a comprendere meglio le esigenze della legge islamica.

Il documento ha una struttura bipartita: nella prima parte si esprime una forte condanna per l’operato di gruppi che infamano un miliardo di persone, nella seconda, a partire dal Corano e dalla carta di Medina, si formulano richieste precise al mondo islamico. 
Sicuramente uno degli aspetti più significativi è rappresentato dal punto 17, dove si stabiliscono i criteri per l’interpretazione della legge islamica. Questo punto è una precisa risposta alla tentazione a cogliere esclusivamente l’aspetto letterale del precetto, senza considerarlo in seno alla globalità della legge, il contesto storico in cui esso è stato prodotto e la finalità della legge stessa, cioè il bene. Il principio enunciato secondo cui: “È innegabile che le disposizione cambino secondo le epoche” non viene dal metodo storico critico, ma dalla giurisprudenza musulmana.  


Questo documento è stato scritto da musulmani e per musulmani: quale valore potrebbe avere per noi? Potrebbe sicuramente essere un modo per conoscere di più i nostri fratelli musulmani, ma potrebbe anche essere l’occasione di incontro e di discussione, di arricchimento reciproco. Incontro con un Islam che non deve mettersi un cappello occidentale per incontrare il nostro favore, ma che, dal suo cuore, può donarci delle proposte per una vita buona insieme.    



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